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La Storia - Seconda Parte

 

L’era Capobianco



Nel 1952 giunse al Tribunale per i Minorenni il Dott. Alberto Capobianco come Giudice a latere. Per qualche anno aveva svolto funzioni di Pretore a Rutigliano.
     Il Presidente del Tribunale dell’epoca, Dott. Rongetti, aveva provveduto di ufficio.
     Il Dott. Capobianco contava trentadue anni e prevedeva o sperava in un parcheggio presso quella istituzione di un annetto. Vi rimase sedici anni, sino al 1967.
     La verità è che il Tribunale per i Minori veniva ritenuto negli ambienti della magistratura, ma non solo in quelli, un tribunale di serie B, sicché la destinazione di un magistrato in quella istituzione aveva tutto il sapore di una emarginazione professionale e come tale veniva vissuta dagli interessati purché dotati di sensibilità. Circolava voce che molti magistrati ignorassero persino il luogo dove era sorto il nuovo edificio che, nel rispetto della legge, unificava gli uffici giudiziari (Tribunale e Procura) e la complessa struttura dell’Istituto di Osservazione.
     Svolgeva allora le funzioni di Presidente il Dottor Vincenzo Lorusso, il quale faceva il “pendolare” tra il Tribunale per i Minori e la Corte di Appello, presso la quale veniva ripetutamente chiamato a far parte dei collegi giudicanti con la conseguenza che si occupava solo marginalmente della giurisdizione minorile.
     In pratica il Dott. Capobianco si trovò solo a dover affrontare, oltre al lavoro proprio del giudice, quello organizzativo degli uffici, il rapporto con le altre sedi giudiziarie del distretto, il contratto con i minori ospitati nell’istituto di osservazione ed ogni altra attività, compreso il funzionamento dei servizi e del personale.
     Insomma si partiva da zero in ambienti appena costruiti.
     Capobianco, isolato moralmente e fisicamente in una sede decentrata e lontana dalle sedi istituzionali, ebbe la reazione del disperato incominciando a farsi carico di una mole enorme di lavoro arretrato che aveva riscontrato sia in materia di competenza penale che in quella amministrativa (provvedimenti sul trattamento dei minori irregolari nella condotta) e civile (provvedimenti relativi alla tutela degli interessi morali e materiali del minore ove minacciati da un anomalo comportamento degli esercenti la patria potestà).
     Il giovane magistrato reclutò e mise sotto pressione i pochi collaboratori che aveva a disposizione, ma il passato che lo trasformò psicologicamente, ponendo di fronte ad una realtà sino ad allora conosciuta solo per relato e calandolo in un universo umano particolare che egli assorbiva giorno dopo giorno, fu il contatto diretto con i giovani ospiti del centro osservazione.
     Si racconta che per la prima volta dalla istituzione del Tribunale per i Minori un giudice si recava nei locali dove erano allestiti i laboratori e le aule scolastiche per conoscere e dialogare con i minori in corso di trattamento.
     Nei laboratori si insegnavano ai ragazzi i mestieri che erano quelli classici previsti nel regolamento e nelle aule si combatteva l’analfabetismo di ritorno e si tentava, per quanto possibile, un recupero culturale.
     Incominciò così l’era Capobianco.
     I suoi metodi di gestione e il suo impegno nel lavoro, con riguardo particolare alla rilevante produzione di sentenze, di provvedimenti, nonché il frequente controllo dell’opera rieducativa svolta nelle case di rieducazione  di Deliceto e di Alberobello, richiamarono l'attenzione della sezione minorile dek Ministero di Grazia e Giustizia.
Vollero incontrarlo a Bari il Dott. Umberto Radaelli - Direttore dell'ufficio di rieducazione dei minori – e il Dott. Giuseppe De Gennaro, suo valido collaboratore, i quali lo incoraggiarono dopo essersi resi conto di quanti e quali ostacoli e di quanti sacrifici Capobianco andava affrontando, assicurandogli suggerimenti, consigli e disponibilità.
     Disponibilità che in realtà vi fu, tanto che il rapporto con i due ministeriali, nel tempo, non fu solo di natura istituzionale, ma anche umano e di amicizia.
     In definitiva il magistrato Capobianco veniva più apprezzato a Roma che a Bari.
     Negli anni sessanta i Tribunali per i Minori incominciarono così ad avere l’attenzione, il rispetto e la collocazione che spettava loro nel firmamento giudiziario italiano.
     A Roma veniva nominato Presidente il Dott. Alfredo Moro, fratello di Aldo. A milano un giurista dello spessore di Adolfo Beria di Argentine e altri magistrati di valore venivano assegnati nelle più importanti Corti di Appello, non esitando ad accettare quegli incarichi che in epoca precedente venivano disattesi per evitare una deminutio capitis.
     In breve tempo il Dott.Capobianco divenne uno dei maggiori esperti e competenti a livello nazionale ed internazionale delle problematiche minorili.
     Al tecnicismo del giudice si unì la passione dell’uomo per una realtà che aveva bisogno di riflessioni, cambiamenti, sensibilità umane, disponibilità a capire, ad intervenire, a corregere.
     Fu così che, segnalato dal Ministero di Grazia e Giustizia, lo troviamo nel 1954 a Bruxelles partecipe del IV congresso internazionale dei giudici minorili e poi a Parigi per un convegno durato un mese, assieme a venticinque magistrati giunti da tutto il mondo, per discutere i problemi dell’infanzia.
     Anche la Gazzetta del Mezzogiorno si avvalse della sua collaborazione accreditandolo come “inviato speciale” ad Ivrea, dove si discuteva il tema dell’adozione speciale. Sono molti anche i suoi interventi nei convegni cittadini e tavole rotonde di cui il nostro quotidiano dava interessanti resoconti.
     Nel 1967, nella sua qualità di presidente degli Amici dei Villaggi S.O.S., Capobianco accolse alla Fiera del Levante l’austriaco Hermann Gmeiner, candidato al nobel per la pace e fondatore dei Villaggi S.O.S., da lui ideati e realizzati con felici e moderne innovazioni a tutela dei bambini privi di famiglia e così oscurando le inadeguate tecniche impiegate nei vecchi orfanotrofi.
     Uno dei villaggi fu aperto ad Ostuni. Il primo nel Sud.
     Oggi, a distanza di quaranta anni, il legislatore mostra di voler riaggiornare i principi che ispirano i villaggi SOS, riorganizzando su base familiare gli istituti per la protezione dell’infanzia, fissando in dodici unità il numero dei minori ospitati.
     Ma la battaglia che vide sempre in prima linea il Dott. Capobianco fu quella combattuta per l’autonomia del Tribunale per i Minorenni, per la quale entrò anche in conflitto con altri illustri colleghi.
     Un problema, quello dell’autonomia, esistente sul tappeto e dibattuto si dall’epoca della entrata in vigore della legge istitutiva del 1934, ma mai decisamente e seriamente affrontato nonostante le proposte avanzate al Ministero e la cui soluzione si rendeva sempre più urgente atteso lo stato di confusione e di precarietà nel quale in tutta Italia operava il Tribunale per I Minori.
     Il dibattito sul tema si riaccese sulle pagine del periodico “Esperienze di rieducazione”, (di cui pubblichiamo gli interventi in appendice), a seguito di un attacco polemico ai “magistrati minorili” accusati di “non aver sempre il tempo di assolvere alla loro funzione”.
     Capobianco ne approfittò per affondare la lama nella ferita scrivendo un poderoso articolo sullo stesso periodico, tracciando l’analisi della situazione e sviluppando argomentazioni su quello che era stato fatto e sulla necessità di raggiungere quanto prima gli obbiettivi che la stessa legge si era prefigurato.
     Al Dott. Capobianco non piaceva il forzato condominio con la magistratura ordinaria per tutte quelle disfunzioni che ne derivavano quotidianamente e percepibili nella realtà operativa.
     Scriveva tra l’altro Capobianco: “Il Tribunale per I Minorenni, sin dalla sua costituzione, è sorto come organo giudiziario autonomo e sarebbe veramente opera vana il tentare di reperire nel vigente ordinamento un solo elemento che possa idoneamente inficiare tale categorica affermazione, la cui validità peraltro, trova adeguato ed autorevole riscontro nella stessa relazione che venne predisposta in occasione della presentazione del decreto costitutivo della “nuova e speciale giurisdizione”.
     Auspicava pertanto, con toni forti, una revisione delle disposizioni vigenti in materia che “servirebbe non solo a colmare una lacuna e ad eliminare una stonatura, ma che a risolvere la crisi della giustizia minorile la quale, con un’adeguata regolamentazione delle piante organiche potrebbe essere posta in grado di funzionare secondo lo spirito e le direttive chiaramente indicate da una legislazione che potrebbe essere qualificata completa e perfetta, sia nell’attuazione delle sue norme, fra i tanti ostacoli, non incontrasse il suo maggiore operatore impegnato in uno sconcertante lavoro che, a mezzadria, deve compiere anche negli aspri terreni delle sezioni del tribunale ordinario .”
     L’efficacia del termine “mezzadria” non ha bisogno di commenti.
     Alla presa di posizione di Capobianco seguirono interventi non sempre accomodanti tra cui quello dell’allora (siamo nel 1966) Procuratore della Repubblica di Bari Carlo Giancaspro nonché altri approfondimenti sul tema portati dal Presidente del Tribunale per i Minori di Palermo, dal Tribunale di Lecce, dal Presidente della Sezione di Corte di Appello per i Minorenni di Trieste e così via.
     Ma le puntuali annotazioni di Capobianco ebbero infine successo e l’autonomia del Tribunale Minorile fu poi finalmente riconosciuta con la conseguente assegnazione al Consiglio Superiore della Magistratura della competenza a ricoprire i posti resisi vacanti nei Tribunali Minorili e ad ampliare le piante organiche degli uffici giudiziari.
     Insomma, l’opera di Capobianco e la sua ostinazione produssero curiosità e poi attenzione da parte di tutti i corpi sociali verso questa istituzione sottovalutata nella sua funzione, emarginata dallo stesso apparato giudiziario, pressoché ignota alla pubblica opinione, svuotata dalle sue prerogative essenziali per mancanza di appropriati sostegni.
     La rivalutazione della funzione del Tribunale per I Minori a Bari si aprì in quel periodo all’interesse della società civile, di personalità del mondo della cultura e delle libere professioni, al mondo della scuola e della Chiesa.
     Composero il Collegio Giudicante, come giudici onorari, le signore Renata Malaguzzi Valeri, Giovanna Ragni e Maria Diele provenienti dalla società civile, i signori Otello Ottomano, Giovanni Meli ed Eustachio Masellis, provenienti da pubbliche istituzioni, le signorine Teresa Surace e Gemma Cassano provenienti dal mondo della scuola.
     Alla Procura della Repubblica, nel 1954, venne assegnato, con molta saggezza, un giudice di notevole prestigio: il Dott. Francesco Finocchi, magistrato dotato di grande umanità e di spiccata sensibilità, che non tardò a comprendere l’importanza del ruolo che gli era stato affidato ed a collaborare attivamente nello studio e nella ricerca delle cause che scatenavano il triste fenomeno della devianza minorile.
     Venne potenziata, sotto l’abile guida della Prof.ssa Lidia De Rita, l’èquipe medico-psico-pedagogica funzionante presso il centro di osservazione e il giudizio diagnostico espresso da detto gruppo, opportunamente integrato dalle puntuali relazioni redatte sull’ambiente familiare del minore disadattato dalle esperte assistenti sociali, dirette con grande maestria dalla signora Marina De Luca, agevolava il magistrato giudicante nella valutazione della personalità del minore nella scelta della misura rieducativa che meglio potesse assicurare il recupero del giovane disadattato e nel quantificare, ai fini del giudizio di punibilità ex articolo 98 del c.p., il livello della sua capacità di intendere e di volere rispetto al reato compiuto.
     Alberto Capobianco, insomma, dopo aver tenuto a battesimo, ma con poca convinzione, l’istituto sorto in Via Giulio Petroni, lo fece crescere nel tempo con quella severità e quel rigore, non disgiunti da una partecipazione umana, che sono il presupposto per una crescente consapevolezza delle pubbliche istituzioni e le qualità proprie di un buon educatore.
     Promosso nel 1967 Consigliere di Corte di Appello, Capobianco “traghettò” spiritualmente il suo ufficio (dopo una breve ma intensa parentesi presidenziale esercitata dai magistrati De Marco, Cipolla e Fiore) all’odierno Presidente Franco Occhiogrisso, come lui infaticabile e prezioso sostenitore dell’impegno che andava spiegato a favore di un organismo giudiziario oggi più che mai indispensabile per la nostra società.
     Alberto Capobianco fu così trasferito, quale consigliere a latere della Corte di Assise di Appello di Bari non senza provare l’amarezza di non aver forse fatto quant’era possibile per porre un argine al dilagare del disadattamento sociale e minorile, sempre più alimentato dal degrado di una società malata.
     Egli portò con sé idealmente le medaglie di argento e di bronzo che il Ministro di Grazia e Giustizia gli conferì nel tempo “al merito della redazione sociale”, nonché l’ambita qualifica di “socio onorario” della società Appulo Lucana di Criminologia, attribuitagli per aver contribuito al riconoscimento dell’autonomia del Tribunale per i Minori: compensi,l questi, forse modestie banali per taluno, ma che al non più giovane magistrato ancora servono a ricordare un percorso irripetibile della sua vicenda professionale.

 

 

Foto Arcivescovo di Bari

 

Alberto Capobianco con i ragazzi dell'Istituto Fornelli di Bari

 

Luigi De Marco

L’impegno di magistrato del Presidente Vincenzo Lorusso, come abbiamo accennato, veniva assorbito prevalentemente presso la Corte d’Appello.
     Sul campo operava Capobianco al quale Lorusso spesso e volentieri delegava il quotidiano del funzionamento della struttura. Alla presidenza di Lorusso seguì quella di Luigi De Marco.
     Luigi De Marco, carattere forte, autoritario a volte scontroso, di acuta intelligenza, tenace lavoratore, ha avuto un percorso professionale tutto in salita.
     In tutti i ruoli che ha ricoperto in magistratura non ha mai deluso.
     Il suo pragmatismo, l’attenzione ai fatti e alla concretezza si sono rivelati efficaci nel senso che sono stati determinanti per il funzionamento degli apparati giudiziari da lui gestiti.
     Originario del Salento (è nato a Campi Salentina) svolse la fase dell’uditoriato presso il Tribunale di Matera, dove per un breve periodo, aveva iniziato l’attività forense come praticante procuratore.
     Fu assegnato quindi al Tribunale di Potenza dove nell’Agosto del 1948 iniziò la sua carriera di magistrato.
     Lo troviamo nel Marzo 1950 al Tribunale di Bari addetto all’ufficio istruzione penale e successivamente trasferito alla Pretura per svolgervi il prescritto triennio, allora obbligatorio, in funzione di Pretore.



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     Completato il triennio, tornava al Tribunale della Città assegnato alla seconda sezione promiscua che trattava processi sia civili che penali.
     Fu quindi subito la volta del Consiglio Superiore della Magistratura, eletto come giudice del collegio di Napoli che comprendeva il distretto di Bari.
     Nel 1963 torna al Tribunale di Bari con funzioni di Presidente della prima sezione penale e successivamente della prima sezione civile presso la quale prende dimestichezza con il diritto di famiglia che lo porterà alla Presidenza del Tribunale per i Minorenni, dove trascorre un decennio.
     Il resto è storia recente. Nel 1987 assume le funzioni di Presidente del Tribunale civile e penale di Bari e poi sino al 1995 Presidente della Corte d’ Appello, vale a dire fino al raggiungimento dei limiti di età.
     Oggi è iscritto all’Albo degli Avvocati e svolge la libera professione.

 

 


Dopo una breve presidenza del magistrato di Corte di Appello Leonardo Fiore, fu la volta di Michele Cipolla.


Michele Cipolla



     Dopo aver svolto le funzioni di Pretore a Taranto, Nardò, Ugento, Trani e Bari, il 13 gennaio     1971, Michele Cipolla veniva applicato in modo continuativo, quale giudice, al Tribunale per i Minorenni d i Bari, ove veniva definitivamente trasferito, in pianta organica, il maggio 1972 permanendovi fino al 29 dicembre 1985.
     Conferitegli le funzioni direttive, veniva destinato quale Presidente del Tribunale per i Minorenni di Perugia, ove prendeva possesso il 30 dicembre 1985 e permaneva fino al 3 gennaio 1995.
     Veniva quindi trasferito al Tribunale per i Minorenni di Bari, quale Presidente, ricomprendo detta carica fino al 22 dicembre 1997, data in cui veniva, a sua domanda, collocato a riposo.
     Incontrando Michele Cipolla, pensi subito che un uomo così, oltre che per la preparazione giuridica, non poteva e non può non occuparsi della problematica dei minori. Anzi sembra destinato a far parte di questo mondo, anche dopo essersi messo a riposo.
     La sua sensibilità che emana da tutti i pori, il suo viso aperto e sorridente, il suo tratto umano e fanciullesco nello stesso tempo, ne fanno un personaggio che, uno volta conosciuto, non dimentichi.

 

 

Il Dott. Michele Cipolla e il Presidente Lorusso

 


Franco Occhiogrosso


     Il secondo nome , per l’incidenza che ha avuto nello sviluppo della istituzione e per il lungo periodo di attività, al quale è legata la storia del Tribunale per i Minorenni di Bari è quello di Franco Occhiogrosso.
     Franco Occhiogrosso ha dedicato alla giustizia minorile il suo talento giuridico, le sue capacità organizzative, la sua determinazione decisionale, facendone un impegno primario della sua vita professionale.
     Un impegno che dura ancora.
     Un personaggio, quello di Occhiogrosso, che si è imposto all’attenzione della società civile e delle pubbliche istituzioni non sottraendosi neppure a qualche conflitto gerarchico, non facendo sconti a nessuno pur di far funzionare al meglio la struttura giudiziaria affidatagli, consapevole della importanza sempre più crescente della “questione” minorile.
     Varcò la soglia della sede di Via Giulio Petroni nel 1967, proveniente da esperienze pretorili prima a Taranto e poi a Grottaglie. Vi giunse come giudice ricevendo il testimone dal Dott. Capobianco, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, trasferito alla Corte di Appello, dal quale ereditò il necessario spirito di sacrificio e di adattamento in un ambiente che, pur avendo superato momenti difficili e pur avviato su di un piano di normalità e di maggiori attenzioni da parte degli organi locali e ministeriali, aveva ancora bisogno di potenziamento ad ogni livello.
     Basti dire che Franco Occhiogrosso, presidente ancora il Dott. Vincenzo Lorusso, per anni è rimasto unico giudice del Tribunale per i Minorenni di Bari.
     Il progressivo aumento delle competenze, impose all’epoca un graduale aumento dell’organico reso indispensabile anche a seguito del riconoscimento della sua autonomia, avvenuto nel 1971, che gli consentì di poter contare su un maggior numero di magistrati e di personale di cancelleria.
     Attualmente i magistrati operanti in Via Tommaso Fiore (oltre a trentasei giudici onorari) sono otto, un numero del tutto insufficiente per far fronte a un complesso ed esteso lavoro che negli anni, per le mutate condizioni umane, sociali culturali ed economiche del paese, si è dilatato.
     Franco Occhiogrosso rimane giudice minorile fino al 1993, anno in cui assume le funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bari, per tornare poi nel 1998 al Tribunale con le funzioni di Presidente che mantiene tutt’ora.
     Anche lui soffre di mancanza di una sede idonea, cioè funzionale.
     Come abbiamo accennato in altra parte di questo volume, il problema delle sedi giudiziarie, non solo per il Tribunale per i Minorenni, è stato sempre pressante, un vero e proprio cruccio per le autorità competenti.
     All’inizio degli anno settanta il Tribunale abbandona la sede naturale di Via G. Petroni n. 90, sorta anche come istituto di osservazione (oggi istituto penale Fornelli), incominciando alcune peregrinazioni che lo hanno portato poi dal 1975 a stabilirsi nell’attuale sede di Via Tommaso Fiore. Una sistemazione precaria anche questa, che ha visto uno stabile sorto per ospitare abitazioni civili trasformarsi in una sede giudiziaria con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
     Come ricorda lo stesso Occhiogrosso, negli anni ’90 si era stati vicini alla costruzione di un palazzo della giustizia minorile che avrebbe avuto sede in un primo tempo su un suolo sito in Via Napoli, messo a disposizione del Comune di Bari, di cui all’epoca era Sindaco il compianto Enrico Dalfino.
     Successivamente vi fu interesse per un’area nel quartiere Mungivacca, ma ogni iniziativa naufragò nel nulla.
     Insomma in tutti questi anni Bari non è riuscita ad assicurare al Tribunale per i Minorenni una sede degna di una così importante istituzione.
     Non degna, ma neppure decente.
     Il degrado della sede di Via Fiore è tale che nel 2002 il Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale, Vincenzo Maria Bisceglia, fu costretto ad inoltrare alla Procura Ordinaria di Bari una denuncia penale, a seguito della quale il Ministero della Giustizia ebbe ad avviare alcuni lavori di ristrutturazione con la conseguenza che si determinò un ancor più grave disagio, in quanto si rese necessario il trasferimento, sia pure temporaneo, delle attività penali presso il Tribunale Ordinario Penale, dove tutt’ora continuano a svolgersi, mentre quelle civili camerali affidate ai giudici onorari si svolgono in pochi e ristretti ambienti.

 


Conclusione


     Oggi il Tribunale per i Minorenni di Bari è ingessato in un edificio di sette piani di Via Tommaso Fiore nel quale operano come in un formicaio un centinaio di persone tra giudici e personale in ambienti angusti e inadeguati che cercano di tenere sotto controllo un vasto contesto di problemi giudiziari e amministrativi attinenti al mondo minorile.
     Sembra un ambiente ghettizzato. Un mondo a parte, ignorato dai più emarginato tanto da non accorgersi che esiste, come qualcosa che non ci riguarda , nel quale pur tuttavia si svolgono drammi e si vivono conflitti ben più laceranti e ben più difficili da gestire di quelli più noti alla pubblica opinione del mondo giudiziario degli adulti.
     La giustizia minorile non è stata mai capita a pieno e forse non lo è ancor oggi.
     Il Tribunale per i Minorenni è stato per troppo tempo ritenuto il parente lontano nel firmamento giudiziario italiano, materia fertile per convegni e dibattiti, materia più amministrativa che giudiziaria.
     Forse perché nell’immaginario collettivo, l’educazione, la protezione, il controllo del minore è di competenza della famiglia e della scuola e il fatto che se ne debba occupare il giudice, persino quello penale, per correggere e punire, per molti non appare in sintonia con una società civile, moderna ed evoluta.
     Ma la domanda è: esiste oggi una societàcivile nella quale la famiglia e la scuola sono in grado e sono capaci di sostituirsi al Tribunale e quindi ai giudici?
     Cioè esiste oggi la capacità e la volontà dei genitore e degli insegnanti di correggere e punire?
     La risposta è no!
     Trascriviamo qui di seguito l’analisi che la Signora Paola Mastrocola – esperta nelle problematiche minorili e scrittrice – traccia nelle pagine di Atlantide, il trimestrale della fondazione di sussidiarietà, sui rapporti attuali tra famiglie e adolescenti.
     Una radiografia attenta, profonda, spietata, che è sotto gli occhi di tutti e che tutti fanno finta di ignorare e di cui tutti siamo complici.
     “Credo che sia in crisi l’idea stessa di educatore, intesa nel senso di dirigere una persona più giovane a trovare la sua strada.
     Quel che vedo intorno a me è una massa di giovani non educati, nel senso non diretti da nessuno e in nessuna direzione.
     L’immagine che ho davanti non è un viaggio, ma un pascolo: mi sembra di vedere giovani che pascolano in un prato, e non giovani con la valigia che prendono treni, navi e aerei o che montano a cavallo diretti da qualche parte.
     Un pascolo: qualcuno bruca, qualcuno dorme, qualcuno passeggia in tondo.
     Non so se sia davvero una incapacità di educare la nostra, o non , piuttosto, una precisa volontà di non educare.
     Più o meno velatamente pensiamo che educare-dirigere sia un male”.


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     “Da anni vedo intorno a me che ad alcuni ragazzi, anche di quattordici o quindi anni, è permesso di tornare alle cinque del mattino, o non tornare affatto, dormendo da amici.
     Penso che si tratti di un misto di acquiescenza, complicità e mal inteso amore: vogliamo che i nostri figli siano felici, che non patiscano intoppi, che si divertano, che non abbiano attriti con i genitore e soprattutto che siano uguali agli altri……
     Di qui approdiamo ad una sorta di sentimento dell’ineluttabile, che a me sembra l’aspetto più deleterio e ignobile dei nostri tempi.
     È ineluttabile che i figli tornino tardi.
     Così come sono ineluttabili lo spinello, il naso inanellato, i capelli viola, i pantaloni larghi, le scarpe da 300 euro, il fatto che a scuola non si studi.
     Perché crediamo così poco nel nostro ruolo, nella nostra voce autorevole? Perché crediamo così poco in noi e in quello in cui crediamo?
     Educare è convincere. Ma per convincere bisogna essere prima di tutto noi stessi convinti: cioè avere una nostra visione della vita.
     Indicare una via significa consegnare al ragazzo un sacco pieno e non vuoto …..
     Invece noi oggi pensiamo che il proporre il nostro personale modello, un sacco pieno delle nostre convinzioni, non sia corretto: riteniamo che sia presuntuoso e illiberale, e che significhi limitare le scelte e reprimere la sconfinata libertà del ragazzo.
     A noi oggi piace pensare che la libertà equivalga a non porre limiti.
     Essere genitori significa essere capaci di indicare una via ai propri figli.”
     Oggi questo non accade.
     Tra genitori e figli si è creato un vuoto e quando i genitori si rendono conto di aver perduto ogni ascendente sui figli è troppo tardi.
     I figli si rivolgono contro, li censurano, li considerano inadeguati: si sentono degli incompresi e decidono di andare per la loro strada da soli. Spesso entrano in competizione con loro.
     Naturalmente la devianza e la delinquenza minorile non nasce solo dai conflitti interni familiari, ma anche dalla povertà e dalla disuguaglianza sociale che i ragazzi percepiscono non appena escono dal loro ambiente.
     La società pur tuttavia vuole che i piccoli delinquenti vengano isolati e rinchiusi cioè protetti e quando è necessario puniti.
     Ma la società altro non è che la famiglia e la scuola che sono la sede deputata alla prevenzione e prevenzione significa educazione.
     Allora si può dire che la famiglia e la scuola hanno perduto la loro battaglia e delegano alle istituzioni la loro difesa.
     Il Tribunale per i Minori è quindi chiamato a supplire alle inadeguatezze della famiglia e della scuola: siamo di fronte ad un circolo vizioso.
     Il come punire è la parte più difficile.
     Il punire fa parte di una terapia fisica e morale.
     Ma al Tribunale per i Minori compete non solo la terapia ma anche la diagnosi.
     Ecco dunque la grande battaglia che oggi questa istituzione a dover combattere.
     Ecco perché questo organo istituzionale merita la più grande attenzione e un massiccio potenziamento.

 

Foto di gruppo

Tribunale per i Minorenni di Bari - Via A. Scopelliti, 8 - 70123 Bari (Puglia) - Tel. 080.9173111 (centralino)
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